Il tacchino e il rastrello

Saverio prestava attenzione all'ordine dell'aia.
In autunno si occupava per interi pomeriggi del problema delle foglie secche: le prendeva nel becco e le trasportava in un angolo nascosto, al riparo dal vento.
Dopo averle ammassate, le ricopriva con una montagnola di terra, raspando con vigore.
E poi ricominciava da capo, perché nel frattempo altre foglie si erano depositate sul terreno.
Il rastrello appoggiato al muro assisteva ai lavori di pulizia astenendosi dal fare commenti.
Un giorno il fattore lo afferrò all'improvviso ed iniziò a rastrellare via le foglie.
Saverio, che stava rassettando il nido nel pollaio, vide tutto, sporgendosi un poco.
Rimase meravigliato dalla velocità e dalla semplicità con cui il fattore riusciva a svolgere un'operazione che a lui costava ore di fatica.
Decise quindi di smettere di raccogliere le foglie.
Appollaiato sulla panca, scrutava deluso il cortile.
Il rastrello si accorse del cambiamento e ruppe il silenzio.
"Saverio, io non sono adatto a raccogliere le foglie che si accumulano sul marciapiede o sulla panca. I miei denti graffierebbero tutto, senza afferrare nulla. Perché non lo fai tu?".
Da quel giorno, mentre il contadino rastrellava il cortile, Saverio ripuliva con cura il marciapiede e la panca.




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