Con un cucchiaio sulla zattera

Semplificando al massimo restano la vita e la morte.
Tutto può essere ricondotto al binomio vita/morte.
Se non avessimo un appuntamento improrogabile con la morte saremmo meno propensi ad impegnarci per dare un senso alle nostre vite.
E se non ci fosse vita, la morte dovrebbe rimanere con le braccia incrociate, come succede su Marte, per quel che ne sappiamo.
La vita è un contenitore, grande o piccolo, che possiamo riempire di amore o del suo contrario.
Tutte le persone che incontriamo possono riversare al suo interno amore, odio, con tutte le sfumature intermedie.
Sta a noi riequilibrare gli ingredienti: se la bevanda tende troppo all'amaro possiamo aggiungere un certo quantitativo di dolcezza. Alcuni fanno fatica ad occuparsi del proprio miscuglio: preferiscono restare a guardare salvo poi angosciarsi quando il succo diventa imbevibile.
Navighiamo fino all'ultimo giorno fra le acque della nostra esistenza, su una zattera senza remi ma armati di cucchiaio per mezzo del quale - se vogliamo - possiamo assaggiare il liquido, finché abbiamo coraggio e fino a quando le papille ci permettono di apprezzarne il sapore.
Poi la morte toglie il tappo sul fondo, la zattera si sfalda nel vortice che si crea, annaspiamo nell'acqua, girando in tondo, diretti all'uscita.
Qualcuno si agita, altri galleggiano, lasciandosi trascinare dalla corrente.
Tutti scompaiono inghiottiti.
A volte nel contenitore vuoto resta il cucchiaio. La morte avanza nel nulla, lo afferra e assaggia il liquido rimasto.
Sa di vita.





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